giovedì 31 gennaio 2013

Va' a Bagg a sonà l'orghen!






Và a Bagg a sonà l'orghen!

Va' a Baggio a suonare l'organo
ovvero
Va' a fare una cosa impossibile. Togliti di mezzo!



A Baggio, borgo situato una volta fuori città, sulla strada per Magenta, 
fino dal 1070 esisteva una piccola chiesetta parrocchiale.

Intorno al 1865, per volontà popolare, la piccola chiesa fu ampliata.

Alla fine dei lavori ci si accorse, però, che i soldi raccolti anche per dotarla 

di un organo erano stati tutti assorbiti dalle opere di muratura.

Tuttavia non si poteva deludere i donatori che già stavano organizzando 

il festone di inaugurazione con canti e suoni.

Allora . . . in fretta e furia si chiamò un pittore col compito di dipingere . . . 

una serie di canne d'organo!

E l'organo dipinto fece bella mostra di sè sulla parete della chiesa rinnovata, quando il portone principale fu aperto al pubblico per la prima volta!

La cosa fece scalpore, e chiasso allegro, come si può ben immaginare . . . 

ma la festa riuscì benissimo ugualmente!



A Milano si dice così - Eugenio Restelli

D'invern se sta tucc taccàa al camin . . .







D'invern se sta tucc taccàa al camin
a cuntà ball per grand e piscinin.

D'inverno si sta tutti presso il camino
a raccontar panzane per grandi e per piccini.



Detto del contado che evidenzia come durante l'inverno
la famiglia se ne stava attorno al camino della cucina
e per rompere la monotonia si raccontavano favole e storie.



A Milano si dice così - Eugenio Restelli

 

L'ongoent del " dodes "







L'ongoent del "dodes" l'è quel medegament
che se non te goarìss non fa dagn per nient.

L'unguento del  "dodici" è quel medicamento
che se non ti guarisce non ti da danno alcuno.



Sono ancora un buon numero i milanesi che ricordano questo unguento,
il cui nome deriva dal fatto che era prodotto in via Garigliano al numero 12.

Non sempre poteva risolvere il malanno per cui veniva applicato,
ma non creava fastidi in casi in cui il suo uso non era appropriato.

Per deformazione quando si voleva fare riferimento a qualcosa di inefficace
si usava dire: " L'è istess de l'ongoent del "dodes"!   E' come l'unguento del "dodici".



A Milano si dice così - Eugenio Restelli

 

Va a trattà coi facchin de la Balla








 Va a trattà coi facchin de la Balla.


Va' a trattare coi facchini della Palla.

E' un invito fatto a persone scortesi non abituate a trattare con gente educata.



Vicino all'attuale via della Palla vi era il mercato della Palla, così detto da una costruzione caratterizzata da alcuni pilastri che reggevano un tetto sormontato da una palla.

Qui i facchini si radunavano per il mercato tre volte alla settimana.

Un'antichissima tradizione narra che San Aquilino venne martirizzato presso il mercato della Palla, dove i facchini ne trovarono il corpo, che portarono pietosamente nella basilica di San Lorenzo.

San Aquilino divenne il protettore dei facchini, i quali annualmente ne onoravano la memoria con una processione che, partendo dal mercato della Palla, giungeva in San Lorenzo, all'altare di San Aquilino, e portava l'olio e la cera per il culto.




A Milano si dice così - Eugenio Restelli

Mangia e tas come fann i fraa






Mangia e tas come fann i fraa.

Mangia e taci come fanno i frati.

Sta' zitto e medita, senza perderti in chiacchere 

(ma può anche voler dire: "Goditela senza dar segno!")

E' un invito a chi parla troppo e a sproposito, alludendo alla regola del silenzio osservata dai frati durante i pasti.

Pasti che alcuni detrattori vogliono abbondanti e succolenti, tali da far diventare . . . "grass 'me on fraa".



A Milano si dice così - Eugenio Restelli

 

Vess on lendenon







Vess on lendenon.
Essere un cappellone.
Detto di persona trasandata, con i capelli lunghi e sporchi.


I " lenden " sono le uova dei pidocchi.

Un personaggio caratteristico della Milano primo Novecento fu un sedicente professore di filosofia, Gregorio Pezzoli, abitué del Biffi in Galleria.

Sfoggiava una folta e lunga chioma corvina, e i monelli della zona al suo apparire gli gridavano:
Lendenon spiritual
falla tajà che te stee mal
falla tajà trenta ghei
trenta ghei te impresti mì
falla tajà quella crappa lì.
Un giorno il Pezzoli comparve senza la sua famosa chioma; i ragazzi, un po' disorientati da questo improvviso cambiamento, lo rincorsero gridandogli:
Falla cress, falla cress!
N.B. Nel dialetto milanese dell'epoca "trenta ghei" significava sia trenta centesimi che trenta centimetri.
A Milano si dice così - Eugenio Restelli

Vess (o parè) on lecchee








Vess (o parè) on lecchee.

Essere, o sembrare, un lacché.


I "lecchee" eran i valletti in livrea che precedevano le carrozze padronali sgomberando loro la strada.

Di notte, con le torce accese, facevano luce al passaggio dei patrizi del tempo.

Nei secoli diciottesimo e diciannovesimo i "lecchee", forti del loro allenamento, disputavano gare di corsa e marcia, sponsorizzate dalle rispettive case dove servivano, diventando motivo di spettacolo pubblico.





A Milano si dice così - Eugenio Restelli

giovedì 24 gennaio 2013

La leggenda della Luna Piena








In una calda notte di luglio di tanto tempo fa 
un lupo, seduto sulla cima di un monte, 
ululava a più non posso.


 



In cielo splendeva una sottile falce di luna 
che ogni tanto giocava a nascondersi 
dietro soffici trine di nuvole, 
o danzava tra esse, armoniosa e lieve.

Gli ululati del lupo erano lunghi,
ripetuti, disperati.



In breve arrivarono all'argentea regina della notte che,
alquanto infastidita da tutto quel baccano, 
gli chiese:

" Cos'hai da urlare tanto?
Perché non la smetti almeno per un po'? "
 " Ho perso uno dei miei figli, 
il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata.  
Sono disperato . . . aiutami! " 
rispose il lupo. 




La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi.
E si gonfiò, si gonfiò, si gonfiò, 
fino a diventare una grossa, luminosissima palla.



 
 

" Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto "
disse, dolcemente, al lupo in pena.
Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura,
sull'orlo di un precipizio.
Con un gran balzo il padre afferrò il figlio,
lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, 
ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna.
Poi sparì tra il folto della vegetazione.



Per premiare la bontà della luna,
le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo:
ogni trenta giorni può ridiventare tonda,
grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero,
alzando nella notte gli occhi al cielo,
possono ammirarla in tutto il suo splendore.
I lupi lo sanno . . .
E ululano festosi alla luna piena.
 
 


mercoledì 23 gennaio 2013

La vita - Madre Teresa di Calcutta






La vita è un'opportunità, coglila.




La vita è bellezza, ammirala.

 

La vita è beatitudine, assaporala.

La vita è un sogno, fanne una realtà.

La vita è una sfida, affrontala.

La vita è un dovere, compilo.
 

La vita è un gioco, giocalo.
 
 La vita è preziosa, abbine cura.




La vita è ricchezza, conservala.




La vita è amore, godine.




La vita è un mistero, scoprilo.




La vita è promessa, adempila.




La vita è tristezza, superala.




La vita è un inno, cantalo.




La vita è una lotta, accettala.




La vita è un'avventura, rischiala.




La vita è felicità, meritala.




La vita è la vita, difendila.




Ho dipinto la pace - Tamir Sorek



Avevo una scatola di colori
brillanti, decisi, vivi.




Avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, altri molto freddi.




Non avevo il rosso
per il sangue dei feriti.


 

Non avevo il nero
per il pianto degli orfani.




Non avevo il bianco
per le mani e il volto dei morti.




Non avevo il giallo
per la sabbia ardente,
ma avevo l'arancio
per la gioia della vita,




e il verde per i germogli e i nidi,
e il celeste dei chiari cieli splendenti,




e il rosa per i sogni e il riposo.



Mi sono seduta e ho dipinto la pace.